Un anno fa ero in una piazza di Boston e guardavo centinaia di americani festeggiare la storica sentenza della Corte Suprema americana che dichiarava il matrimonio tra persone dello stesso sesso come diritto da riconoscere indistintamente a tutti, in tutti i 50 stati della federazione.

Fontana di Trevi illuminata. Credit: Martina Castiglione
I principali monumenti ed edifici del paese erano stati illuminati con i colori dell’arcobaleno e io immaginavo il giorno in cui l’Italia sarebbe stata illuminata allo stesso modo. A distanza di un anno, mi ritrovo ancora in quella piazza, questa volta a guardare le foto che mia cugina mi manda da Roma e che mostrano il Colosseo e Fontana di Trevi illuminate con i colori dello stesso arcobaleno. Il messaggio dice: “Come se fossi qui”, e lei non ha idea di quanto oggi vorrei essere veramente lì.
La legge Cirinnà sulle unioni civili è stata approvata, anche noi abbiamo avuto (alcune) piazze italiane colorate ad arcobaleno e sulla cartina di Wikipedia che mostra la situazione dei diritti LGBT in Europa, l’Italia è finalmente passata da grigio ad un azzurro sbiadito. Mi ci è voluto un po’ per digerire questa legge e accettare il fatto che fosse arrivata al sì finale stravolta rispetto a quella che era la proposta iniziale. È una legge che è stata umiliata attraverso la deprivazione di ogni parola che potesse accostarla troppo alla sacralità dell’intoccabile matrimonio così concepito da chi guarda alla vita con i paraocchi. La parola famiglia non viene menzionata da nessuna parte in questa legge; quindi, per lo stato italiano, continuano ad esserci mille migliaia di famiglie che non sono famiglie e bambini che hanno genitori ma che non sono genitori. Ancora una volta si tenta di nascondere l’enorme elefante che siede nella stanza con il resto dei perbenisti e benpensanti. Tutti lo vedono, tutti possono udire gli enormi peti che sgancia, a discapito dell’imbarazzo generale, ma tutti fanno finta di niente. Durante la discussione della legge, mentre leggevo i vari stravolgimenti che venivano apportati, insieme con le proposte che avevano come unico scopo quello di allungare ulteriormente i tempi (ma come unico risultato quello di offendere la dignità intellettuale di ognuno di noi), la mia impressione era che quei benpensanti stessero semplicemente facendo frastuono per non sentire l’elefante nella stanza. Quasi speravo che la legge non passasse affatto, come nel 2008 con i DICO, quando l’umiliazione che la legge voleva infliggere alle persone interessate era sì tanta che, per “unirsi civilmente”, non era neanche concesso loro di presentarsi in municipio insieme.
Eppure, se oggi il mio paese è un posto un po’ più civile e più blu su quella cartina è grazie a questa legge e alle persone che l’hanno voluta e alle quali sarò eternamente grato per il lavoro svolto e per aver realizzato il primo passo. C’è ancora tanto da lavorare e soprattutto ci sono ancora tante coscienze e tanti animi che vanno svegliati. Mi riferisco a quegli amici, ragazzi, uomini e donne, che vivono nell’angoscia di essere sbagliati e nel terrore di non poter mai essere felici. Mi riferisco anche a quelle persone che fanno di tutto per continuare a farci credere di essere sbagliati e che, così come siamo, non saremo mai felici. Questi sono gli animi e le coscienze che vanno svegliate. Come? Semplice: attraverso l’accettazione e l’affermazione di quello che siamo.
Fare coming out è sbagliato, lo dicevo un paio di anni fa e continuo a pensarlo. Nessuno dovrebbe essere messo nella condizione di doversi dare un’etichetta. Eppure, se vogliamo raggiungere il traguardo dove ciò non sarà più necessario; se vogliamo che quegli amici capiscano che possono essere felici; se vogliamo affermare la nostra presenza agli occhi di chi ci vuole nascosti dicendoci che “La perversione non sarà mai legge”, dobbiamo farci sentire e dobbiamo essere testimoni del nostro amore e della nostra felicità.
Comincio io, rinnovando il mio coming out fatto 6 anni fa in una pizzeria di Londra davanti ai miei genitori e alla mia migliore amica Natalia. Mamma, papà, amici: sono gay.
E con la stessa passione e la stessa convinzione con la quale Vladimir Luxuria ce lo urlava dal palco del Gay Pride a Roma nel 2007, ora dobbiamo urlarlo tutti insieme a chi invece vuole negarlo: NOI SIAMO UNA FAMIGLIA!
16 Dicembre 2017: Questo articolo è stato scritto per della presa di posizione di Vladimir nei confronti di Asia Argento e del caso Weinstein. Posizione che io non condivido. Mi tengo il beneficio del dubbio che magari il video è stato tagliato e rattoppato male per fuorviare l’opinione dello spettatore. Le penso tutte per scrollarmi di dosso la delusione profonda che provo nel sentire Valdimir così superficiale e disumana sul tema della violenza. La violenza non è bianco o nero. Non è solo un coltello puntato alla gola, un pugno in faccia o una pistola altrimenti non è violenza. E se davvero fosse quella la tua risposta ad un ragazzo gay che ti dicesse di essere stato “violentato” ma nonostante tutto avesse continuato a “frequentare” il violentatore, allora ti dico che non solo le lotte che hai fatto per i tuoi interessi non valgono più un cazzo e te le puoi riprendere, ma non hai neanche idea di cosa siano le violenze e le dipendenze comportamentali.
E mi spiace per quelle donne che non escono fuori proprio per paura delle persone piccole come Vladimir.