‘Omosessualità e nodi da sciogliere in Comunità Capi’. Auguri.

Ieri sera, mentre mangiavo la mia pizza surgelata del Sainsbury’s (non la mangiavo surgelata) e parlavo al telefono con Natalia, la stessa mi ha fatto notare un articolo apparso il giorno stesso su La Repubblica il cui titolo recitava ‘Gli scout cattolici e l’omosessualità”I capi gay sarebbero un problema‘. L’articolo riportava un seminario che ha avuto luogo a novembre scorso, presso lo Scout Center di Roma (ai miei tempi non ce l’avevamo lo scout center a Roma!) dal titolo “OMOSESSUALITÁ: NODI DA SCIOGLIERE NELLE COMUNITÁ CAPI – L’educazione fra orientamento sessuale e identità di genere“. Tema principale del seminario era la questione dei capi (apertamente) gay nelle Comunità Capi dell’Agesci. La discussione di ‘apertamente gay’, poi, meriterebbe un seminario a parte.

Ho fatto parte di un gruppo scout per circa 15 anni, di cui 5 come capo. Mi ricordo una riunione di Comunità Capi (una delle ultime alle quali partecipai) di qualche anno fa. Beh, forse era il 2004, quindi un po’ più di qualche anno fa. Il dibattito si era acceso sull’eventualità di un capo gay nel gruppo e la linea proposta era che a tale persona non sarebbe dovuta essere data la possibilità di fare il capo scout, a meno che la cosa non venisse resa pubblica (OK ecco il Gilwell, ma tienitelo per te). Quando capii che la linea della chiesa era un po’ la stessa e che in fondo l’Agesci era un’associazione cattolica e che cercare di cambiare le regole nelle case altrui era una lotta contro i mulini a vento, me ne andai.

A grandi linee, secondo l’articolo di Repubblica, quanto emerso dal seminario dice la stessa cosa, il che mi fa male ugualmente nonostante già lo sapessi, ma non quanto leggere citazioni varie che l’articolo riportava, quali “in caso di situazioni del genere, vanno chiamati i genitori e consultato uno psicologo. Capi scout omosessuali che non dovrebbero dichiarare il loro orientamento sessuale, per evitare di turbare e condizionare i giovani” e via dicendo con la Chiesa ovviamente brutta, cattiva ed estremista. Nonostante io continui a leggere Repubblica, la ritengo comunque una delle testate che mi piace di meno e quindi, non contento (e non fidandomi del giornalista) ho passato il mio venerdì sera a leggere le 47 pagine del documento ufficiale redatto dopo la conferenza e pubblicato in questi giorni.

Al di là di quanto emerso (seppur tristemente non diverso dalle linee proposte durante quella Co.Ca. di qualche anno fa), ci tengo a confermare che Repubblica è quanto di meno obiettivo possa esistere, che disinforma invece di informare, che ha come unico obiettivo quello di vendere e di rendere i propri articoli ‘succulenti e appetibili’ ai lettori distorcendo e ‘fotoscioppando’ le notizie per renderle come chi le legge le vuole: i preti che sparano a zero sui gay, che dicono che sono malati, che vanno curati e che bruceranno all’inferno. Per quanto la cosa forse non si allontani molto dalla realtà, la stessa rimane comunque diversa da quello che effettivamente viene detto.

I relatori del seminario erano tre persone, un prete assistente ecclesiastico del MASCI (padre Francesco Compagnoni) e due psicologi, di cui uno capo scout a sua volta. Padre Compangoni purtroppo è stato quello sul quale il giornalista di Repubblica si è accanito di più, cosa che posso anche capire. Le citazione del Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 forse lasciano il tempo che trovano se dicono (faccio copia e incolla) che “La Sacra Scrittura presenta la relazione delle persone omosessuali come gravi depravazioni e la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati, contrari alla legge naturale perché precludono all’atto sessuale il dono della vita” Mi chiedo se tutti i capi scout eterosessuali facciano sesso solo per procreare. No. Allora sono disordinati anche loro? Le citazioni continuano  “Gli atti sessuali omosessuali, non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale e in nessun caso possono essere approvati” Complementarietà affettiva. Magari ci scrivo un altro post. “Questa inclinazione [omosessualità], oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Essi perciò devono essere accolti con rispetto, con passione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e se sono cristiane a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza dalla loro condizione.” Al concetto di accoglienza, in questo contesto, mi sembra venga dato un significato molto lato.

Tutte queste (e altre che Compagnoni non ha evitato di utilizzare) sono citazioni prese dal documento ufficiale del Catechismo della Chiesa Cattolica (che ancora non ho letto ma che probabilmente farò, considerando la pioggia che accompagna questo lungo weekend londinese), e che comunque egli approva. La cosa tristemente sorprendente è quando raggiunge il quarto punto del suo intervento e che affronta “Il Significato di Sessualità”. Compangoni dice, suo pensiero, non citando nessuno, che “…È evidente che una persona omosessuale da sempre, con la tendenza profondamente radicata, si trova generalmente in difficoltà con il proprio sesso corporeo e non soltanto con il sesso a livello genitale. Infatti, come voi sapete, il primo dei sessi è quello genetico, quello delle cellule, quindi c’è tutto il problema molto complicato del rapporto fra la struttura corporea, la struttura celebrale e la struttura ormonale […] La persona omosessuale ha dei problemi non solo sul piano sociale ma anche con se stessa. Può trovarsi ad avere un’autocoscienza di un certo tipo e il corpo di un altro tipo” E’ da sempre evidente. Evidente a chi? Questo è l’errore in assoluto MAGGIORE, il luogo comune più grande nel quale tanti cadono e tanti si fanno porta bandiera: l’omosessuale come travestito, come transessuale, come persona in difficoltà con il proprio sesso anatomico (e di conseguenza con la struttura celebrale e la struttura ormonale!) Questa (Compagnoni) è una persona che sta tenendo una conferenza, in un’associazione nazionale grande come l’AGESCI, di fronte a centinaia di persona e io dico, ma nessuno si alza e gli tira in fronte uno scarpone da trekking? Sono riusciti a farlo con Bush (e quello era un mocassino, neanche uno scarpone da trekking), possibile quel giorno a nessuno sia venuto di alzare la manina e, con il Gilwell al collo, chiedere “davvero?”

Va avanti poi con un sesto punto in cui afferma che “le persone omosessuali adulte nel ruolo di educatore (quindi per noi i capi che hanno una tendenza omosessuale profondamente radicata o forse predominante) costituiscono per i ragazzi loro affidati un problema educativo“. Io ho avuto e incontrato tanti capi scout, di tutti i colori, di tutti i generi, chi fumava durante i campi, chi faceva vedere il bere come una cosa giusta e fica, chi dava punizioni corporali (i famosi giri di campo), chi schersosamente mi chiamava Barbie, chi ci raccontava delle serate pazze in discoteca e chi in qualche occasione ci portò al pub di sera, ci fece bere (eravamo minorenni) e poi ci riaccompagnò a casa, guidando dopo aver bevuto due margarita. Sinceramente non mi identifico in nessuno di questi. Per concludere, Compagnoni decide di dar fine al suo brillante e significativo intervento facendo notare che a volte i capi scout omosessuali hanno un vantaggio rispetto agli altri capi, perchè sono più sensibili, portati all’arte e ai rapporti interpersonali. Peccato che poi siano anche pedofili e malati. Questo l’ho aggiunto io, non lui. Sono sicuro che per le Guide (ragazze scout) avere un capo gay con cui andare a fare shopping e condividere la manicure deve essere proprio il massimo.

L’ultimo intervento (ne salto uno) è stato quello dello psicologo e capo scout Dario Contardo Seghi (al quale sto per scrivere un’email, mi sembra l’unico del gruppo col quale valga la pena parlare), che al di là del quadro più o meno obiettivo che è riuscito a dare (sfatando a grandi lettere, e ribadendo di non fare questo errore, il mito dell’omosessuale come effeminato e travestito – sono sicuro che questo sia stato il suo modo di tirare lo scarpone al tizio), il suo intervento è risultato molto interessante da leggere dal punto di vista delle dinamiche che regolano la psicologia dell’età evolutiva e adolescenziale. Tutto fila liscio, tutto bene fin quando anche egli raggiunge la fine e fa lo stesso dannato errore ammettendo che sicuramente ci sono tanti capi omosessuali che sono 100 volte migliori dei capi etero, che l’orientamento sessuale non deve in nessuno modo essere discriminatorio e motivo per non dare la possibilità di fare il capo…. basta che tale capo se lo tenga per se. Basta che non si faccia coming out, il quale lo stesso definisce come “bisogno che a volte un capo ha di manifestare ed esprimere i problemi della sua identità“. Problemi. Ma come problemi? Ma come identità? Ma no, non è così! E qui anche Dario mi è cascato.

Le sorti del seminario sembrano poi essere risollevate dagli stessi capi-uditori, durante i loro gruppi di lavoro, dai quali emerge un loro forte bisogno di una maggiore consapevolezza da parte dell’associazione del significato del termine ‘omosessuale’, di cosa significhi coming out e che per loro è importante che “le comunità capi possano, infatti, accogliere e riconoscere le persone per ciò che sono e per ciò che fanno, indipendentemente dall’orientamento sessuale che dichiarano” (come se ciò sia necessariamente una cosa che vada resa pubblica insieme alla dichiarazione dei redditi). Concludono dicendo che a loro avviso questa cultura non esiste nelle attuali comunità capi. Mi viene da pensare che un po’ di vecchiume sia stato tolto di torno e che queste siano le nuove generazioni di capi. God bless you all!

Il documento riporta le conclusioni del seminario e quanto ne è emerso, dicendo che sì, il capo gay non deve essere discriminato ma (ma) “Questo problema diventa rilevante quando il capo con orientamento omosessuale dichiari o mostri con scelte precise il suo orientamento, essendo questo un elemento che può turbare, condizionare, confondere i ragazzi“. Ci tengono poi ad aggiungere che ciò vale anche per qualsiasi altra scelta che entri nella sfera dell’intimità. Quindi vediamo, se sei gay puoi fare il capo ma te lo devi tenere per te. Quindi il tuo/a ragazzo/a non potrà venire a prenderti alla fine del campo scout o se viene, o se partecipa ad una qualsiasi altra attività, dovrà essere presentato con un amico/a. A quanto pare invece il capo divorziato può farsi vedere tranquillamente in giro con la sua nuova moglie o il capo non sposato ma che convive può tranquillamente portare la sua schiera di figli illegittimi al campo. In questo caso non si parla di coming out. In fondo, vivere la propria omosessualità apertamente non significa raccontare in giro cosa faccio sotto le coperte. Forse significa solo, semplicemente e banalmente poter dire “Ti presento Lorenzo, il mio ragazzo”

Altra necessità che (ringraziando dio) le conclusioni del seminario evidenziano è quella di un maggiore approfondimento delle problematiche legate all’omosessualità nei confronti della Chiesa. Chiara Panizzi (relatrice) per questo suggerisce come punto di partenza il famoso Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992. Chiara, 1992 significa 20 anni fa. Qui si sta parlando di andare avanti, adeguarsi, modernizzarsi. OK, senza perdere le tradizioni alle quali tanto siamo legati, ma pur sempre guardare avanti e tu mi suggerisci un documento redatto 20 anni fa. Tante cose fortunatamente sono cambiate negli ultimi 20 anni. Tante cose sono state adeguate e riviste. Tante. Ma forse, mi viene da pensare, non tutte equamente e ovunque.

2 thoughts on “‘Omosessualità e nodi da sciogliere in Comunità Capi’. Auguri.

  1. grazie per il lungo riassunto degli atti del convegno. comunque, a rigore, nelle comunità capi non sarebbero ben accetti manco i divorziati e i conviventi non sposati (ricordo anche io una riunione sul tema ma forse era al 118 o in zona). diciamo che, visto che la società li tollera di più dei gay, alla fine anche in co.ca. si chiude un occhio. a un certo punto, più o meno lontano sull’orizzonte temporale, la chiesa dovrà cedere su alcune posizioni. io credo che i passi in avanti della società civile laica possano accelerare questo cedimento. e se no, tant’è. la chiesa cattolica e l’agesci possono benissimo fare a meno di noi.

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